La ricerca di dati e, soprattutto, della fotografia del primo sindaco di Zambrone dell’era repubblicana, è stata quanto mai difficoltosa, lunga e complessa. Il rinvenimento di essa è merito di Franco Colace, da Priscopio. E’ stato proprio lui a indirizzare la Redazione presso Micuccio Bova (suo suocero) nipote di Serafina Bova, moglie di Giuseppe Cono Grillo. Micuccio Bova si è comportato con generosità e disponibilità, da vecchio signore d’altri tempi.
    Un sentito ringraziamento va inoltre rivolto a Noemi Pini e Liliana Colace che dall’Argentina hanno collaborato alla ricerca in argomento.
    Un altro frammento di storia locale ha corso il rischio di essere definitivamente cancellato. Il suo salvataggio è un risultato dall’alta valenza culturale che l’associazione Aramoni (editrice di Cronache Aramonesi) rivendica con orgoglio e immensa gioia …

    GIUSEPPE CONO GRILLO

    RITRATTO DI UN COMUNISTA, PRIMO SINDACO DI ZAMBRONE

    Il 2 giugno 1946 si votò per scegliere tra Monarchia e Repubblica. La Calabria era monarchica e i risultati del referendum non delusero il buon Re di Maggio, che di lì a poco si sarebbe imbarcato per il dorato esilio di Cascais. Anche Zambrone votò a grande maggioranza per il Re ma, tutto sommato, la Repubblica ebbe più voti del previsto, compresi quelli di mio padre (convinto e determinato) e di mia madre (piuttosto perplessa, perché il Re le faceva un po’ pena e considerava Umberto II non responsabile della condotta del padre).
    Quel giorno si votò anche per eleggere, per la prima volta, dopo il ventennio fascista, le Amministrazioni locali. La legge elettorale di allora affidava al popolo il solo compito di eleggere il Consiglio Comunale. Sindaco e Giunta venivano poi eletti al suo interno dalla lista vincente. Ho, ovviamente per la tenera età, un ricordo vago di quello storico momento e molti eventi furono poi ravvivati nella mia mente dai racconti di mio padre, dello zio Mario, di Peppino de Carlo e degli amici con cui ho dialogato per tutta la vita.
    Furono presentate ben cinque liste, alcune delle quali facevano capo ai risorti partiti, altre erano state organizzate dalle vecchie baronie tropeane, egemoni a Zambrone durante il fascismo, ma ora in lotta tra di loro. Gli alleati infatti, per non far torto a nessuno, si erano limitati a nominare sindaco il podestà in carica in quel momento, don Francesco Vizzone, scontentando però don Vincenzo Parisi che aspirava all’incarico. Le altre liste erano espressioni della volontà di partecipazione della gente, che, finalmente poteva dare sfogo alla sua fame di libertà. La campagna elettorale fu aspra e la contrapposizione, tra le forze in campo, netta. Tra le liste in competizione quella della Democrazia Cristiana e del Blocco di destra (non c’era ancora il Movimento Sociale Italiano) apparivano favorite e invece,
    Ho, ovviamente per la tenera età, un ricordo vago di quello storico momento e molti eventi furono poi ravvivati nella mia mente dai racconti di mio padre, dello zio Mario, di Peppino de Carlo e degli amici con cui ho dialogato per tutta la vita.
    Furono presentate ben cinque liste, alcune delle quali facevano capo ai risorti partiti, altre erano state organizzate dalle vecchie baronie tropeane, egemoni a Zambrone durante il fascismo, ma ora in lotta tra di loro. Gli alleati infatti, per non far torto a nessuno, si erano limitati a nominare sindaco il podestà in carica in quel momento, don Francesco Vizzone, scontentando però don Vincenzo Parisi che aspirava all’incarico. Le altre liste erano espressioni della volontà di partecipazione della gente, che, finalmente poteva dare sfogo alla sua fame di libertà. La campagna elettorale fu aspra e la contrapposizione, tra le forze in campo, netta. Tra le liste in competizione quella della Democrazia Cristiana e del Blocco di destra (non c’era ancora il Movimento Sociale Italiano) apparivano favorite e invece, sorprendentemente, vinse la lista d’ispirazione comunista. L’evento è ricordato da Paolo Cinanni, storico e saggista, allora dirigente della Federazione del Pci di Cosenza, nel suo “Le lotte per la terra in Calabria - 1946-1950”, Feltrinelli, Milano, 1974.
    Il Consiglio Comunale qualche giorno dopo elesse Giuseppe Cono Grillo, primo sindaco di Zambrone dell’era democratica e del suffragio universale.
    L’uomo, già anziano al momento dell’elezione, non aveva preparazione amministrativa né competenza negli affari comunali, ma sapeva leggere e scrivere (cosa quasi incredibile per una persona che era nata nel 1881) e vaghe erano le sue idee sul comunismo. A me, che lo ricordo perfettamente per averlo conosciuto dopo il suo breve e sfortunato mandato e prima che emigrasse, ormai vecchissimo, in Argentina, il personaggio era simpatico Mi appariva carismatico per quel suo camminare lento, da contadino che non si sorprende di nulla, con un ghigno amaro sul volto, assai diffuso tra i vecchi comunisti, e la moglie Serafina, piccola e riccia che lo seguiva sempre di qualche passo senza parlare e che ogni tanto, lei svelta e sicura nei gesti e nei movimenti, si spazientiva e lo sollecitava. Ho persino un vago ricordo della loro abitazione, un piccolo basso in via Roma (ora via Carlo Grillo) dove ero entrato per non so più quale motivo. Il posto lì per lì mi intimorì, mi appariva tenebroso e pericoloso o, cosa più probabile, anch’io ero influenzato dalle terribili storie che si raccontavano a Zambrone tra il 1946 e il 1950 sui comunisti, divoratori di bambini, bestemmiatori e nemici del papa e della chiesa. Si diceva che Stalin si nutrisse di carne umana e che non era contento se passava un giorno senza che ne ammazzasse un centinaio. Lui, il vecchio Sindaco, capitato sullo scranno per caso, non faceva nulla per smentire; si limitava a sorridere sardonicamente e con una curiosa espressione sul volto come chi è costretto a parlare con degli ignoranti per cui è inutile perdere tempo a spiegare le cose. A volte se ne usciva con una curiosa profezia secondo la quale un giorno il mondo sarebbe stato comandato da Mosca o da Costantinopoli. Ascoltavo e la profezia mi sembrava strana e incredibile. Capivo che potesse adattarsi -siamo agli inizi della guerra fredda- per Mosca, perché di Mosca e della volontà di potenza di Stalin sentivo parlare continuamente ma non riuscivo a capire che c’entrasse Costantinopoli. E forse nemmeno lui, sebbene ne fosse convinto e lo dicesse con atteggiamento ieratico tipico dei vecchi comunisti. Quella certezza -ricordo- mi infastidiva e non capivo come si potesse parlar bene della Russia e di Stalin se era così malvagio. Non riuscivo a capire neppure perché quella rozza scritta con vernice rossa sul muro della casa della guardia municipale, Carlo Carrozzo, all’angolo tra via della Vittoria e via Municipio (ora via Corrado Alvaro) che inneggiava a Stalin stesse sempre lì e nessuno la cancellasse. Tanto più che altre scritte, sullo stesso muro, che esaltavano altri partiti o personaggi erano state cancellate sebbene si leggessero ancora abbastanza chiaramente: Viva il Duce, Viva il re. E’ più probabile che qualcuno avesse provato a cancellare quel Viva Stalin rosso fuoco ma la scritta doveva essere stata tracciata con vernice indelebile e resisteva a tutti gli attacchi. Ancora qualche anno fa, prima che quella casetta reduci e i prigionieri di guerra, era un agglomerato informe ma pieno di vita, ricco di passioni e voglia di ricominciare da qualche parte, in qualche modo. Molti si accingevano ad emigrare. Argentina, Uruguay, Australia, Stati Uniti erano, nell’ordine, le mete da raggiungere per ricominciare a vivere dopo la guerra.
    Ciò che mi impressionò, anni dopo, quando cominciai a riflettere sulle vicende e sulla storia del mio paese non fu tanto la vittoria dei comunisti che, in effetti, non hanno avuto mai grande peso nelle nostre vicende politiche e amministrative, ma che la gente -così mi sembrava- volesse quasi cancellare quell’episodio dalla sua memoria, come se il sindaco comunista fosse stato un’anomalia, un irrituale fuori- programma, quasi uno scherzo, per ridere e per prendere in giro a cominciare dallo stesso vecchio contadino chiamato ad interpretare un ruolo non suo. E invece, ma dovetti crescere e capire per esserne certo, era la forza della democrazia che quando è libera da pressioni e agisce in contesti in cui è bandito il ricatto della violenza e il condizionamento del bisogno e dell’egoismo, produce la libertà. E da allora Giuseppe Cono Grillo, il primo sindaco zambronese del dopo-guerra, vecchio contadino, povero e semianalfabeta, emigrato in Argentina con la moglie quando aveva 75 anni, dignitoso e comunista, ha continuato a rappresentare per me tutto questo.

    Salvatore L’Andolina
    Pubblicato su CRONACHE ARAMONESI, Anno III, n. 3 Luglio 2007