Periodo Romano

Roma all'inizio si contese con Pirro, re dell'Epiro, il predominio sull'Italia meridionale. I Bruzi e le città magnogreche si schierarono contro Roma, che nel frattempo aveva posto presidi nelle maggiori città della regione. Dopo la vittoria di Eraclea (280 a.C.) in cui usò elefanti ignoti ai Romani, Pirro raggiunse Locri dove s'impossessò delle ricchezze del tempio di Persefone, la dea dell'oltretomba e del culto delle stagioni, cui erano dedicati i famosi pinakes.

Lo scontro decisivo avvenne nel 275 a.C. a Maluentum, l'odierna Benevento. I romani restarono padroni del campo, imponendo pesanti condizioni ai vinti. I Bruzi riuscirono a mantenere la propria confederazione, ma subirono la confisca di gran parte dei propri territori, che diventarono, dopo il 270 a.C. ager pubblicus, vale a dire proprietà del popolo romano. Ridotti alla povertà, la ribellione dei Bruzi esplose nel corso della seconda guerra Punica. Infatti, dopo la vittoria di Annibale a Canne, (216 a.C.) i Bruzi si schierarono con Cartagine, mentre le città magnogreche insieme a Consentia con Roma. I Bruzi furono determinanti per le vittorie di Annibale, che si spostò nel Bruzio a partire dal 205 a.C.. Vi rimase per due anni, fino a quando, ripetutamente sconfitto, ritornò in Africa, non senza avere dettato, nel tempio di Hera Lacinia, una stele in cui narra le sue gesta. Distrutta Cartagine, la repressione di Roma fu durissima verso i Bruzi. Essi potevano essere solo servi, adibiti alle mansioni più umilianti. E proprio la rivolta degli schiavi guidati da Spartaco, il gladiatore romano di origine Tracia, vide nelle terre dei Bruzi uno dei focolai più indomabili e nella Silva, l'odierna Sila, uno dei territori più inaccessibili al controllo di Roma.
Roma non lasciò grandi segni della sua presenza, in quanto non mirò a romanizzare gli abitanti né a controllare militarmente il territorio. Tuttavia la decadenza di quella che era stata la Magna Grecia diventò inarrestabile. Roma rafforzò le sue colonie e individuò in Crotone, Temesa, Turio e Vibo i suoi capisaldi. Con l'ampliamento degli orizzonti mediterranei, la regione perse la sua centralità. Le città vennero trasformate in municipi e diventarono ognuna indipendente, con ciò allentando gli antichi legami. Nelle campagne sorsero le ville rustiche, quali quelle di Monasterace, Tropea e Leucopetra.

I Romani strinsero la regione in una morsa di ferro e cercarono di rimuovere la cultura e le tradizioni, soprattutto quelle magnogreche. Ed é proprio allora che avvenne la famosa repressione dei baccanali, documentata dal celebre decreto senatorio del 186 a.C. che non a caso é stato ritrovato nel 1640 a Tiriolo. Il culto di Dioniso, Dio del vino e dell'ebbrezza, era diventato un fenomeno di massa dopo gli effetti sconvolgenti dell'invasione di Annibale.

Durante questo periodo e, precisamente, in quell'augusteo, la regione fu chiamata Brutium, nome con il quale s'identificò fino alla conquista bizantina. Inoltre, quest'età segna un periodo di stasi nello sviluppo economico e sociale della Calabria, in cui interi territori subirono per secoli l'abbandono da parte dell'uomo con la nascita del latifondo romano e con esso d'aree malariche. Furono tuttavia intensificate e migliorate le vie di comunicazione con la costruzione nel 132 a.C. della Via Popilia, per opera del console P. Popilio Lenate, strada che portava a Capua e a Reggio e che diventò l'asse dove si svolse lo sviluppo della regione, e l'agevolamento della traversata dello stretto dalla Calabria verso la Sicilia.

Nel 71 d.C. fu sconvolta dall'insurrezione di Spartaco che vi i rifugiò e le percorse in lungo e in largo arruolando seguaci dappertutto, soprattutto fra i Bruzi.

La Regione trovò qualche tranquillità e benessere solo ai tempi di Teodorico (494-526) e di Flavio Aurelio Magno Cassiodoro (ca 490-583) che ricoprì le più alte cariche pubbliche, tra le quali quella di Prefetto del pretorio nel 533, e che si adoperò per una pacificazione tra i Goti e i Latini. Non riuscendo nel suo intento, si ritirò nella natia Squillace, lontano dalle contese del mondo. Dopo avere abbracciato gli ordini monastici, fondò il Vivarium, un monastero a cui impresse un indirizzo spirituale più aperto di quello dei benedettini. In questo cenobio, vera fucina di cultura, si attendeva, attraverso una disciplina severa, allo studio e alla trascrizione dei testi della cultura classica, greca e latina. Quando morì, tra il 570 e il 580 d.C. attraverso l'opera di Cassiodoro erano stati salvati e tramandati tesori inestimabili, altrimenti destinati alla distruzione. Pur essendo, come ha notato Giovanni Pugliese Carratelli "isolato in questa sua iniziativa" a buona ragione é stato definito sia "l'eroe e il conservatore della scienza fino al VI secolo" che "l'ultimo dei romani e il primo degli italiani".