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Anno 2007
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Un vuoto incolmabile se non si riesce a credere che esiste un altro mondo
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Editoriale
Un vuoto incolmabile se non si riesce a credere che esiste un altro mondo
Federica, sedici anni, una vita spezzata. Chi autorizza a parlare, scrivere, piangere, così tante persone? Un’emozione improvvisa e incontenibile? La paura che ciò possa capitare a una nostra figlia? La rabbia? La coscienza? Il senso di impotenza? La sete di giustizia? Ferderica non c’è più. Questa è la durissima e inaccettabile verità. Per chi ha il dono della fede, Federica è volata in cielo, è un angelo che veglia sulla sua famiglia, sui suoi amici e su quanti le hanno voluto bene. Per chi non crede in un altro mondo, l’assenza di Federica è un vuoto incolmabile, ma è convinto, comunque, che tante sono le iniziative che si possono intraprendere per non disperdere la sua infinita umanità. Al riguardo, le autorità deputate, individueranno, nei prossimi giorni, i percorsi più appropriati. L’auspicio, inoltre, è che venga accolta la seguente esortazione: signori politici, professionisti della critica, responsabili a vario titolo della sanità locale, evitate la retorica sciocca e piagnona, gli ipocriti mea culpa. Sarebbe insopportabile. Tutt’al più avrebbe senso un bel gesto di assunzione di responsabilità. Quella giuridica sarà assegnata dall’autorità giudiziaria. Per quella politica e morale, basterebbe un sussulto dell’animo, che non verrà, perché da queste parti, la “colpa” è sempre del “sistema” o di qualcos’altro. E le coscienze, si sa, latitano. Evitate, esperti del nulla, la banalità. Moralismi a buon mercato, ma non proprio gratis. Goffi moniti del tipo: “Non dovrà mai più accadere”. Non ci crede nessuno. Becere strumentalizzazioni. Atteggiamenti auto-assolutori. Ciò che conta veramente è pensare a Federica, in mille modi. Basta un semplice gesto. Una parola spesa in famiglia, una bella azione posta in essere in suo nome, un ricordo, una preghiera. Solo per Federica… per il suo gioviale sorriso, la spontaneità, la tenerezza, la sua voglia di vivere, già la sua voglia di vita! Durante le esequie di Federica, le telecamere si sono soffermate sulla madre, una donna distrutta dal dolore. Riecheggia nelle menti l’urlo disperato del padre: “Federica non ce l’ha fatta”. La memoria preserverà i volti attoniti dei compagni di Federica, divenuti adulti anzitempo. La ragione consiglierebbe la fuga nel silenzio. Ma la poesia dei sedici anni, si ribella. E allora viene in mente un poema di Attar: “Il verbo degli uccelli”. Uno stormo di uccelli, simbolo dell’animo umano, parte alla ricerca del mitico “Simorgh”. Inizia così, un percorso mistico verso l’unione con Dio. Il “Simorgh” vive ai confini del mondo, coperto da veli di luce e tenebra. Gli uccelli vogliono fare del “Simorgh” il loro sovrano. Il lungo tragitto è irto di ostacoli e difficoltà. Al termine del viaggio, soltanto in trenta giungeranno a destinazione. Concluso il volo, gli uccelli si renderanno conto di essere proprio loro il “Simorgh”. Fatto già presagito dal nome: si, in persiano significa trenta, Simorgh, uccello. Ciò che hanno ricercato sono essi stessi. “Le anime confuse e umiliate di quegli uccelli si annienteranno compiutamente e i loro corpi arsero sino a ridursi a mucchietti di cenere. Non appena si furono spogliati di ogni terreno aspetto, vennero rivestiti della vivificante luce emanata da quella presenza, e in tal modo per loro iniziò un’esistenza radicalmente diversa…”. Piace pensare che Federica, in queste ore, abbia scoperto il mitico “Simorgh”e si stia adoperando per fare conoscere, ai suoi cari e ai compagni, la sua “vivificante luce”, radiosa, sublime ed eterna…
* Direttore Centro studi aramonesi
Pubblicato su Calabria Ora il 31 gennaio 2007
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