ELOGIO FUNEBRE PER PASQUALE MAZZITELLI
Un pettirosso si trovava sul Golgota e, vedendo un uomo crocifisso, cercò di liberarlo dalla corona di spine che portava in testa. Nel farlo, si macchiò il petto con il suo sangue. Per ringraziare il piccolo uccello, Gesù Cristo (l’uomo era lui) decise di lasciargli quel segno rosso, in modo che tutti gli uomini potessero riconoscere da lontano quella creatura così sensibile. Ed è proprio un pettirosso l’ultima immagine di vita collegata a Pasquale Mazzitelli. Sul davanzale della finestra dell’ospedale di Tropea, sabato scorso un piccolo pettirosso sembrava rivolgere lo sguardo nei confronti una persona anziana a un passo dal licenziarsi dalla vita terrena. L’immagine del pettirosso, nella cultura cristiana risulta fortemente evocativa. Perché trattasi di un volatile piccolo. E questa sua dimensione fisica sembra quasi volerci ricordare il senso della finitezza e la reale portata del nostro essere innanzi al Creato. Il suo carattere è vivace e ciò si comprende dal fatto che esso è sempre in movimento, quasi voglia osservare con curiosità tutto ciò che accade intorno a lui. E poi è per sua stessa natura il simbolo della vita che sopravvive alle avversità dell’inverno. E in questo momento, grande è il freddo nel cuore dei familiari del professore Pasquale Mazzitelli. Perché la morte porta via tutto. Soprattutto quella fisicità che è componente essenziale di ogni esistenza. Eppure, è proprio la capacità di sopravvivenza del pettirosso, a dispetto delle condizioni ambientali, che ci offre il viatico per superare la gelida disperazione causata da un evento così tremendo. Il piccolo volatile diventa così un simbolo concreto di speranza. Ma speranza di che cosa? Speranza di una rinascita. Non soltanto religiosa; da cristiani, questa speranza è salda e incrollabile. Ma anche sotto il profilo laico. La dittatura del dolore non può avere la sua definitiva vittoria. E anzi, prende il sopravvento la necessità di andare avanti, per se stessi e per onorare la memoria e l’affetto di chi non c’è più fisicamente. Alla presentazione di un mio libro, quello che ho sempre considerato il più importante e cui diedi proprio il titolo “Il canto del pettirosso”, ricordo il professore Pasquale Mazzitelli in prima fila, insieme a mio padre (suo consuocero) entrambi orgogliosi di quell’iniziativa. Idee, ricordi, frammenti di vita che proprio nel momento dell’estremo saluto sembrano affastellarsi vorticosamente. In realtà, a ben pensarci, nulla accade per caso. E neanche i ricordi tornano alla mente per una pura casualità. I ricordi che sono vividi appartengono alla sfera del cuore e sanno avanzare secondo forme inattese ma efficaci.
Il dolore ha una duplice dimensione, privata e pubblica. Sulla prima, l’elaborazione del lutto segue un percorso difficile e temporalmente significativo. E nonostante ciò, il trauma per la perdita di una persona cara non viene mai superato del tutto. Ma il patimento ha anche una sua dimensione collettiva. La scomparsa di Pasquale Mazzitelli rientra in tale sfera. E allora occorre ricordare alcuni tratti della sua personalità ed azione. Non solo per dare conforto a quanti gli hanno voluto bene e ne hanno condiviso il percorso. Ma soprattutto per un dovere di salvaguardare il senso della memoria. Nessuna comunità potrebbe sopravvivere senza radici e senza una memoria saldamente ancorata nella storia.
Pasquale Mazzitelli è stato sindaco di questa comunità per diciannove anni senza soluzione di continuità, dal 1980 al 1999. S’impose come il sindaco del rinnovamento e seppe interpretare le esigenze del cambiamento con concretezza ed autorevolezza. Il Comune di Zungri si affidò a lui per proseguire nel suo percorso di crescita e di sviluppo. Ed egli accolse la sfida con entusiasmo e coraggio. La sua presenza nel municipio era puntuale e costante. E ciò per vari motivi. Prima di tutto perché riteneva che il capo dell’Esecutivo avesse il dovere di seguire con scrupolo l’iter di ogni azione amministrativa. E ciò perché pensava che per la buona riuscita delle azioni di programma servisse un monitoraggio delle vari fasi procedurali. In secondo luogo perché egli riteneva di dovere essere vicino alla sua comunità. Per ascoltare i suoi problemi e adoperarsi alla risoluzione dei piccoli o grandi ostacoli dettati dalla quotidianità. Il suo operato politico fu scandito da un insieme di successi amministrativi che vale la pena ricordare. Il più importante e prestigioso fu il primo recupero e l’avvio del processo di valorizzazione del sito rupestre poi intitolato “Grotte degli sbariati”. Un sito dismesso e ad un passo dalla sua definitiva cancellazione fu invece tutelato e posto all’attenzione della comunità scientifica e della politica regionale. Curò personalmente il primo studio dedicato al sito rupestre coinvolgendo gli studiosi dell’università di Napoli, “Federico II”. Inoltre realizzò il primo viottolo per renderlo accessibile e i locali del futuro museo. Sulla vicenda, insomma, ebbe un intuito straordinario destinato a fare di Zungri un sito turistico ormai conosciuto da migliaia e migliaia di visitatori ogni anno. E al riguardo è utile ricordare un fatto. Pasquale Mazzitelli era proprietario del lotto antistante l’ingresso al sito e all’adiacente museo. Donò gratuitamente al Comune quello spazio per accelerare le procedure azionate per rendere il sito d’interesse pubblico. Poi realizzò nuove strade cittadine, in modo particolare quella di collegamento via Mazzini-strada provinciale per Briatico e quella via Jerocades-Paolo Borsellino. Arterie di primaria importanza, site nella perimetrazione cittadina che ebbero almeno due effetti fondamentali. Il primo, fu quello di accrescere la dimensione urbanistica cittadina, con enormi benefici per lo sviluppo civile. Il secondo di assicurare una percorribilità urbana sicura e moderna. Altro merito che vale la pena sottolineare, la sua attenzione per il decoro urbano. La cura della villetta comunale, la creazione di nuovi verdi attrezzati e, soprattutto, la creazione di nuovi spazi pubblici furono un’altra decisiva spinta verso la modernizzazione. Insomma, laddove esistevano le baracche costruite dopo il terremoto del 1905, sorsero strade e slarghi, spesso arricchiti da sculture. Fra le altre opere da ricordare, anche la realizzazione dell’edificio che ospita la scuola materna con annessa palestra e l’ampliamento delle scuole medie ed elementari, l’ampliamento del cimitero, il potenziamento della rete fognaria e di pubblica illuminazione, la costruzione delle case popolari site alla via Sandro Pertini, la riqualificazione della Piazza A. de Gasperi, la Piazza Madonna Santissima della Neve, la gradinata “Largo Francesco Mazzitelli”, l’acquedotto “Pantani”, l’informatizzazione del municipio, il Centro per anziani “Madre Teresa di Calcutta”, lo spostamento della frazione Papaglionti, il recupero della memoria fotografica, la riqualificazione del centro storico, la creazione della discarica consortile “Nicopoli”, la creazione dello stemma comunale. Assicurò ordine nell’evoluzione urbanistica, senza lasciare mai margini ad alcun pressappochismo. Nella sua veste di consigliere provinciale si prodigò per il finanziamento del campo sportivo polivalente e della chiesa Sant’Anna. Il rispetto delle regole fu per lui sacrale. La legalità, anziché sbandierarla fu praticata senza sconti; e anche per tale ragione fu destinatario, insieme alla sua famiglia, di gravissime intimidazioni. Ad esse, reagì con fermezza, continuando ad operare sulla scia della legge. Coraggioso ma mai arrogante, popolare ma mai populista, appassionato ma mai scomposto, interpretò al meglio la vecchia Zungri, ricca di umiltà e di valori, visse il presente con intensità e proiettò il paese verso il futuro. E d’altronde, se vinse quattro elezioni di fila, talvolta con risultati plebiscitari, ciò non fu certo casuale. Interpretò al meglio la leggiadria degli anni Ottanta che si manifestava tale solo nelle forme. In realtà, quegli anni furono forieri di importanti realizzazioni e di modernità. Seppe poi vivere i cambiamenti degli anni Novanta, senza rinunciare al piglio decisionista, acuto e al suo modo d’essere.
L’impegno pubblico merita di essere ricordato anche per la sua lunghissima militanza nelle fila del glorioso Partito socialista italiano. S’iscrisse a tale formazione sin da giovane e vi rimase per l’intera durata della sua azione politica. Dirigente attento, seppe fare tesoro dei bisogni della sua gente per arricchire il dibattito sulle ragioni del Sud e sul ruolo della politica e delle istituzioni, per venire incontro alle inderogabili istanze delle comunità sofferenti. I continui viaggi a Catanzaro, qualche volta a Roma, non erano rivolti a soddisfare esigenze di natura elettoralistica. Ma erano invece indirizzati a costruire una nuova prospettiva d’avvenire. Il suo socialismo aveva un’ispirazione deamicisiana, perché credeva fermamente nella possibilità di ridurre le differenze sociali gradualmente, con un impegno pubblico mirato. E da vero socialista d’altri tempi, si relazionava costantemente con i concittadini. Sapeva dialogare con franchezza ascoltando attentamente le parole della gente e leggendo in profondità quelle scolpite nel cuore. Era gioviale, spontaneo, diretto, umile. Ma la sua azione fu anche ispirata da un moderno riformismo, perfettamente calato nei tempi dell’attualità. Sapeva infatti tenere ferma la barra delle direttive politiche, ma, allo stesso tempo, interpretare le istanze di emancipazione. Sapeva mantenere solidi legami sia con la base, come si diceva un tempo, che coi vertici del partito, creando una giusta tensione fra eletti ed elettori, tesserati e dirigenza. Il leader che più ha amato è stato il presidente Sandro Pertini di cui apprezzava la storia, l’arditezza delle sue scelte, onestà, schiettezza e vicinanza col popolo. Forte, il legame con tutti i rappresentanti istituzionali dell’universo socialista e, in modo particolare, con l’onorevole Leopoldo Chieffallo.
Nella sua lunga carriera politica ricoprì per due volte anche il ruolo di consigliere provinciale. La prima volta dal 2000 al 2004 e la seconda, dal 2005 al gennaio 2008. E in quella veste mise in pratica la sua notevole esperienza amministrativa al servizio di un comprensorio in continua lotta per la sua definitiva emancipazione.
Fra le tante cariche prestigiose ricoperte, anche il ruolo di vice-presidente nel Comitato di gestione dell’Usl n. 23 di Tropea. In quella veste si prodigò per potenziare i servizi sanitari del comprensorio e, in tal modo, aprì il varco a nuove opportunità lavorative.
E andando a ritroso nel tempo, occorre anche ricordare il suo ruolo di presidente della società sportiva zungrese negli anni ’70.
Quando si ritirò dalla scena politica, lo fece con impareggiabile stile. Si dedicò alle sue passioni e alla famiglia. Non spese mai una sola parola contro la sua amatissima comunità. Mai una polemica. Mai un gesto scomposto. Mai alcun proposito connotato da negatività. Piuttosto, continuò a frequentare la piazza e a incontrare gli amici e fu sempre prodigo di buoni e sapienti consigli.
Egli fu anche un valido insegnante. Interpretò il ruolo di maestro secondo gli schemi di un’impostazione che aveva il suo perno nell’attenzione verso il prossimo. Per lui, la scuola non era soltanto l’istituzione deputata alla trasmissione delle nozioni. Quanto un luogo di formazione che aveva il compito di educare le nuove generazioni e di prepararle all’ardua sfida della vita.
Fra le sue passioni che hanno avuto un risvolto nella vita pubblica vi era anche spazio per la pittura e per il presepe. I suoi quadri, talvolta connotati da soggetti e sfumature cromatiche malinconiche furono sottoposti, spesso, all’attenzione della sua stessa comunità; un modo differente di mostrare la sua natura e di relazionarsi con gli amici di sempre. E poi i presepi; ne donò tanti, ai suoi compaesani e alle chiese. Era anche questo un modo di mostrare una spiritualità discreta ma ricca, una religiosità forse non sempre praticata, ma presente nei momenti salienti della sua vita.
Pasquale Mazzitelli coltivava, poi, tante altre passioni. Ad esempio quella del giardinaggio dove aveva accumulato una vasta esperienza che mise a disposizione della gestione ammnistrativa. Non era raro incontrarlo negli angoli del paese (durante la sua esperienza da sindaco) intento a dirigere la potatura di un albero o la cura di un’aiuola.
Caratterialmente, la dote che spiccava in lui era la generosità. Tale qualità si manifestava con una ricchezza di gesti più unica che rara. Nulla di ciò che possedeva considerava suo. Tutti i beni erano a disposizione di chiunque frequentasse la sua casa. Ha interpretato correttamente il ruolo politico che deve essere, prima di tutto, quello di un pedagogo. E così, altra sua caratteristica era l’eleganza. Certamente nel vestiario, sempre in giacca e cravatta, non lasciava nulla alla casualità o alla sciatteria. Ma la sua eleganza era anche nei gesti e nel modo di parlare. Mai scomposto, signorile e misurato, dispensava le parole con parsimonia e in modo appropriato. Sapeva poi coltivare l’amicizia come pochi altri. Nel suo viaggio istituzionale in Argentina conobbe e rivide così tanti concittadini che per anni e anni la sua casa fu un riferimento per l’intera comunità zungrese presente a Buenos Aires. E gli amici avevano la sua casa quale solido riferimento per ogni appuntamento e ricorrenza importante. Ricordo le serate invernali di molti e molti anni: caminetto acceso, panettoni, mandarini, frutta secca per gli amici ospiti, con i quali s’intratteneva in lunghe partite a stoppa che spesso duravano l’intero arco della nottata.
Ma l’universo di Pasquale Mazzitelli era ancora più vasto. Impossibile delinearlo in così poco tempo.
Fra i cardini della sua vita, vi è da ricordare Giuseppe Garibaldi che amava per l’intrepido coraggio e per essere stato fondamentale nella storia dell’unità d’Italia.
Fra gli uomini del passato che ammirava incondizionatamente, il pittore Mattia Preti, i cui quadri visitò a Taverna insieme alla famiglia e ad altri amici in un viaggio organizzato di qualche anno fa.
Per anni e anni fu sodale attivo dello storico circolo ricreativo “Primavera”, protagonista della Sagra della patata che sostenne con convinzione perché offriva alla sua amata Zungri eccezionale notorietà. E poi perché egli sapeva pensare e progettare grandi opere, ma anche apprezzare le piccole cose della vita che nella dinamica della quotidianità sono quelle che riempiono il cuore di gioia, perché creano o rafforzano un legame diretto con le persone.
Un’amicizia particolare lo legava ad Antonio Limardo, compagno di mille battaglie politiche, amministrative e amico sincero, fidato. Ed è stato proprio lui, l’altro ieri, a ricordare ai familiari come fra le doti di Pasqualino (gli amici stretti lo chiamavano così) vi fossero la pazienza nell’interloquire con la popolazione, la sua capacità d’ascolto, il forte collante morale, affettivo, valoriale che aveva saputo creare con essa e la sua capacità di fare crescere politicamente il Comune e i cittadini di Zungri.
Nelle campagne elettorali sapeva veicolare messaggi chiari ed efficaci, franchi ma mai offensivi, destinati a rimanere impressi nella memoria collettiva. Curioso l’episodio del 1985, allorquando lanciò otto garofani rossi dal palco in cui pronunciò il comizio di chiusura della campagna elettorale comunale. E disse: «Moltiplicateli per cento e avrete il risultato della nostra lista». Di voti, in quella tornata, ne conquistò 890.
Considerava l’emigrazione la piaga storica del Sud che ne impediva la crescita e che era foriera di traumi familiari e collettivi. La risposta politica fu l’abbraccio idealistico con la cultura meridionalistica che tradusse in prassi nei suoi interventi.
E forte è l’intreccio di ricordi familiari. Quello delle lauree delle tre figlie e dei due generi, quello dei matrimoni delle sue amate Cristina e Sabrina (celebrato in questo santuario) o dei battesimi e delle prime comunioni dei nipoti Giada, Anna Salvatore. E tanto altro ancora.
Per i familiari, il 26 luglio assistere ai fuochi d’artificio nell’apertura della festività “Madonna della Neve”, senza la sua presenza sarà triste, così come tutte le ricorrenze importanti e l’evolversi della quotidianità. Mancheranno a tutti noi i suoi gesti che in parte però rivivono nella giovialità del nipote Salvatore; le sue parole, a volte sapienti a volte dolcemente irriverenti, non dissimili da quelle pronunciate dalla nipote Giada; per certi versi le sue bizzarrie, così ben colte e scherzosamente imitate dalla nipote Anna; l’amore per i suoi cari. Alla moglie Caterina resta in dote il primo bagaglio di quella che Ugo Foscolo chiamava: “Eredità d’affetti”. Alla figlia Rosalba, il carattere perennemente oscillante fra un dinamismo fantasioso e imprevedibile e il senso del dovere. A Sabrina, la passione per la vita e il gusto per le cose belle. A Cristina, il senso della fierezza, i valori acquisiti dai suoi genitori e dallo zio medico, Francesco Mazzitelli; ma soprattutto, il legame con la comunità e l’educazione raffinata, temperata dall’umiltà. Ora è il tempo dell’estremo saluto fisico. Ma ciò che è nel cuore è destinato a vivere e ad incontrarsi, sia pure con differenti e misteriose modalità.
E allora ritornano in mente i versi di John Keats: Ed il pettirosso leva il canto acuto/da un giardino; e trillano nel cielo,/raccogliendosi, le rondini.
Zungri, 18 febbraio 2019
Corrado Antonio L’Andolina