ELOGIO FUNEBRE PER MIO PADRE
Jack London avrebbe sicuramente ispirato qualcuno dei suoi romanzi alla tua innata curiosità che ti portava a scoprire, attraverso i libri, nuovi mondi. Un giorno ti chiesi cosa potessi dire a un amico che aveva subito un dolore come il mio. Mi suggeristi di leggere e fare riferimento a “Il vagabondo delle stelle” dello scrittore statunitense. La storia raccontava le vicende di un uomo ingiustamente perseguitato dalle istituzioni, condannato e incatenato. Qualcuno, a quell’uomo, insegnò ad uscire dal proprio corpo ed a vagabondare tra le stelle. Poté così rivivere, libero, la propria vita ed essere testimone e partecipe dei più grandi eventi del passato, ritrovò ciò che aveva perduto ed imparò a capire e ad amare tutte le persone e le cose che non avrebbe ritrovato al momento di rientrare nel suo corpo. Ma anche successivamente continuava ad amare e parlare con loro, pur non vedendole, perché sapeva che stavano accanto a lui, nella sua cella, che esistevano veramente e non erano solo una proiezione impalpabile dei suoi desideri. Tu continuerai a fare parte di me. Farai parte di qualcosa che non esiste fisicamente, ma come per il vagabondo delle stelle, continua ad essere presente, ad aiutarmi, a sostenere la mia volontà, il mio cuore, la mia vita.
Immagino i tuoi studenti, le aule nelle quali hai esercitato la tua nobile attività di professore di Lettere. Anche io sono stato tuo allievo di Storia e Geografia. Ciò che ammiravo era la capacità di offrire spiegazioni semplici ad eventi complessi e di ricercare, sempre, la profondità delle cause e degli effetti dei processi storici. La tua didattica fu efficace, formativa e si esplicò con modalità magnetiche. Nella tua vita d’insegnante hai formato generazioni intere educandole al senso di responsabilità, stimolando le loro attitudini e dispensando conoscenza e umanità. L’amicizia coi colleghi, il rapporto speciale con gli alunni, la serenità con cui ha esercitato l’insegnamento resta un mirabile esempio di laboriosità.
Socialista. Era questa la parola cui eri maggiormente affezionato. Hai abbracciato un sistema di pensiero ispirato alla giustizia sociale e alla libertà. E così, poco più che ragazzino hai intrapreso la via maestra del socialismo riformista. Consideravi Filippo Turati un riferimento primario; Eduard Bernstein: “Il movimento è tutto, il fine è nulla” una bussola per l’esercizio del buon governo. Il tuo socialismo aveva radici antiche che però sapevano attualizzare il messaggio nobile che portava con sé il movimento socialista: l’emancipazione da ogni forma di asservimento e da ogni sfruttamento. Una giustizia sociale che tendeva ad offrire a ciascuno pari opportunità, valorizzando il merito e che non trascurava il bisogno dei più indifesi attraverso un inderogabile senso di solidarietà. “A tutti uguali opportunità” era uno dei tuoi solidi principi. “L’alleanza riformista fra il merito e il bisogno” fu anche la tua risposta e il miglior modo di contrastare le politiche assistenzialistiche, senza rinunciare a tutelare le fasce sociali più deboli. “La giustizia giusta”, per te, si tradusse nella difesa dello Stato di diritto e della presunzione d’innocenza, senza scadere in alcuno innocentismo. Conoscevi molto bene un mondo che racchiudeva l’esempio coraggioso di Giacomo Matteotti, la raffinatezza di Giacomo Mancini, il temperamento di Sandro Pertini, l’acuta intelligenza di Ricardo Lombardi, la passionalità di Pietro Nenni, di cui amavi il suo: “Rinnovarsi o perire!”. Nelle tue visite a Bologna (ai tempi in cui ero studente universitario) eri orgoglioso di attraversare le vie che recavano il nome di Andrea Costa di cui ammiravi purezza e spirito combattivo e quella di Giuseppe Massarenti, figlio di un socialismo che puntava sulla fraternità. Mai dimenticato l’insegnamento di Salvador Allende: ““Sono pronto a resistere con ogni mezzo, anche a costo della vita, in modo che ciò possa costituire una lezione nella storia ignominiosa di coloro che hanno la forza ma non la ragione” . El pueblo unido jamás será vencido. Ma questo mondo annoverava anche tanti dirigenti e militanti che vedevano proprio in te il socialista colto e onesto, intelligente e coerente, idealista e pragmatico allo stesso tempo; insomma, un degno continuatore della cultura politica socialista. Mi piace ricordare con le tue stesse parole che pronunciasti nell’aprile del 1967 in occasione della storica visita del ministro Giacomo Mancini a Zambrone, da te organizzata: “Non abbiamo abbracciato il socialismo per caso, lo abbiamo conquistato perché corrisponde all’atteggiamento del nostro animo ed ai valori della nostra eredità culturale, siamo contadini ed operai, figli della miseria e del dolore, siamo legati alla nostra terra e cerchiamo uno strumento che ci aiuti a riscattarla, crediamo di avere trovato quello strumento nel socialismo”. Nella tua visione socialista, l’emancipazione volta ad accrescere i diritti non è mai stata disgiunta dal senso del dovere. Senza troppi giri di parole, hai rappresentato una parte significativa della storia socialista. Per la dimensione culturale, lo spessore politico e la ricchezza umana avresti di certo meritato ben altre cariche e onori. Ma a ben pensarci hai vergato ugualmente pagine significative della storia umana. Tante le persone e le realtà abitate che in qualche modo hanno incrociato il loro destino col tuo profondo pensiero e con la tua vivida azione. E da tale incrocio, avvenuto attraverso una riunione di partito, un convegno, un’assemblea, un corso di formazione, sei sempre riuscito lasciare un segno capace di cambiare qualcosa in termini morali e materiali.
Il teologo Julian Carròn ha scritto: “Il cuore è il fattore che ci rende uomini”. Il cuore (da sempre simbolo dei sentimenti) muove la vita, costruisce le opere di bene, realizza positività. È il cuore che aiuta a prendere, di ogni esperienza, il lato positivo: che cuore, il tuo! Un cuore che ha saputo misurarsi con un contesto irto di difficoltà. Eppure, mai ha perduto la sua tenerezza; mai ha rinunciato alla sua dolcezza (nemmeno nelle asperità della lotta politica). È un aspetto della tua personalità che oltre ai familiari stretti hanno potuto cogliere solo i tuoi studenti più attenti e gli amici del tuo percorso esistenziale. Un cuore nobile e generoso che si è speso in modo altruistico senza lesinare risorse. Il professore Salvatore L’Andolina fu un grande dispensatore di bene. Uno spirito sensibile e delicato. La sua idea d’ispirazione cristiana era fondata sulla necessità delle opere buone che prima o poi divengono feconde per l’umanità intera. Il tutto incastonato nella cornice Kantiana: “Il cielo stellato sopra di me, la legge morale dentro di me”.
Il tuo bagaglio culturale e la tua erudizione, senza pari. Non c’era classico di tutte le Letterature europee o statunitense che non avessi letto. Migliaia e migliaia di libri hanno accresciuto le tue conoscenze e la tua cultura. Ma cos’era per te la cultura? Hai sempre avuto al riguardo una concezione gramsciana. In merito, tu stesso hai scritto: “Per cultura s’intende tutto ciò che muove e promuove la formazione umana, la consapevolezza individuale, l’acquisizione del potere di critica. Il tutto finalizzato a determinare situazioni in cui ciascuno contribuisca a migliorare la società, a far trionfare la verità, ad eliminare la menzogna, a produrre situazioni in cui ciascuno possa vivere secondo i suoi bisogni ed assistere al riconoscimento dei propri meriti”. E da ciò è derivata la tua passione per i libri che hai trasmesso ai tuoi cari e a tanti allievi. Mi parlasti spesso della tua formazione giovanile curata a mezzo i famosi Bur dalla copertina beije (oltre che nella libreria di Mario Calvi). E poi arricchita da enciclopedie (penso alla Rizzoli), riviste (Mondoperaio) e libri di ogni genere. L’amore per gli autori Russi (Dostoevskji, Tolstoj, Puskin, Gogol), quello per gli Statunitensi (Edgar Lee Masters, Faulkner, Mark Twain), per i Francesi (Stendhal, Balzac, Dumas), per gli Inglesi (Shakespeare, le sorelle Bronte, Emily Dickinson, Dickens, Jerome), per i Calabresi (Corrado Alvaro, Leonida Repaci, Saverio Strati, Domenico Zappone, Mario La Cava, Fortunato Seminara, Nicola Misasi, Vincenzo Padula). Oppure per autori profondi e originali: Karl Popper, Leonardo Sciascia, Oriana Fallaci. Ma è impossibile in pochi minuti descrivere quell’universo letterario, di saggistica e di ogni ramo della conoscenza che ti era proprio. Tutti, ma proprio tutti, d’altronde, ti chiamavano: “Il Professore”; P rigorosamente maiuscola.
In qualità di sindaco hai creato un modello encomiabile. Il rigore amministrativo non ha mai cancellato l’umanità, la legalità ferrea sempre pratica (e mai sbandierata). Ciò che nessuno riuscirà ad eguagliare è l’impostazione amministrativa. Il tutto, partiva dai bisogni e da una visione organica e laicamente profetica del territorio e della sua comunità. Il Comune è radicalmente cambiato, grazie alla tua autorevole guida. Sia sotto il profilo culturale che materiale. Sul primo versante hai dimostrato una cosa che in Calabria riesce a pochi: si può governare il territorio preservandolo e assicurandone uno sviluppo armonico, rispettando l’euritmia dei luoghi. Sotto il secondo profilo, l’elenco sarebbe lunghissimo. Penso all’avveniristica Piazza VIII Marzo. Mai nessun paese della Calabria aveva registrato una tale ideazione e realizzazione. Progetto proiettato nel futuro che avrebbe dovuto rappresentare il cuore pulsante di una nuova stagione per Zambrone. Oppure al rifacimento della Piazza San Carlo. All’abbattimento delle baracche del capoluogo. Alla creazione del Centro sociale, altra struttura imponente, funzionale e di rara bellezza ed utilità e alla pavimentazione di via P. Mancini. Penso ai viali alberati (viale XXV Aprile) e a tanto altro. E poi, per San Giovanni, alla prima creazione di uno spazio verde attrezzato e alla valorizzazione della sorgente “Le valli”, oltre al viale Gramsci alberato e con nuovi marciapiedi; oppure all’ampliamento cimiteriale e alla creazione, in loco, di una chiesetta. E poi Daffinà, dove è stato creato l’attuale largo innanzi alla chiesa dedicata a San Nicodemo e un altro largo nella zona centrale a seguito dell’abbattimento di alcune baracche. Daffinacello, rinacque. In modo particolare grazie al considerevole ampliamento di via della Rinascita e di via Indipendenza e alla creazione della villetta (su via Della Rinascita). Alla marina, oltre all’illuminazione della scogliera della Marinella, l’opera più importante fu quella che non si era vista. E cioè la tutela della costa e del circostante paesaggio; la tutela del territorio comunale. E poi, ancora, il potenziamento della pubblica illuminazione, rete idrica e fognaria su scala comunale e un rinnovato sistema di raccolta dei rifiuti. Col tuo intervento politico tra il 1967 e il 1970 vennero realizzate le case popolari di via A. Giannini (a San Giovanni) e quelle di via De Gasperi e Pietro Mancini (a Zambrone). E l’elenco delle intuizioni sarebbe ancora lungo: la creazione di una rassegna estiva di caratura internazionale, la ricerca dei caduti in guerra di Zambrone, la creazione della statua dedicata ai caduti in guerra e di altre statue dislocate alle frazioni. Grazie al tuo intuito, il Comune di Zambrone fu uno dei primi d’Italia ad essere interamente informatizzato. E poi le innumerevoli iniziative culturali. Di tutto questo, è rimasta una traccia molto forte nella storia locale che niente potrà mai cancellare. Fu proprio grazie al tuo impegno, inoltre, che venne realizzata la pubblicazione del libro: “C’era una volta a Zambrone”, col contributo decisivo dell’assessorato regionale alla Cultura retto da Saverio Zavettieri. Proprio in conseguenza di questa tua intransigenza e lineare onestà, non mancarono intimidazioni e violenze, alle quali rispondesti con fermezza e determinazione, fiducioso nella legge e nello Stato come uniche fonti del corretto vivere civile. La dialettica, la tolleranza e il rispetto per i cittadini, i cardini del tuo agire umano e politico. In sintesi, un lungimirante amministratore locale. Molte tue idee sono state realizzate nella tua gestione amministrativa. Altre, successivamente. Altre sono in itinere. Altre ancora, lo saranno in futuro.
Ci sono molti altri aspetti che meriterebbero approfondimenti. Impossibile farlo per tutti. Ma almeno va menzionata la tua attività di patronato, sempre svolta gratuitamente. Base operativa, ogni camera della tua casa, disponibile ventiquattrore al giorno e trecentosessantacinque giorni all’anno. Ricordo la cordialità con cui ti relazionavi ai braccianti agricoli, coi quali riuscivi ad intessere relazioni dense di un’umanità antica. Il tuo affetto per loro era ricambiato da una stima e da una fiducia illimitate. O ancora, la tua azione al servizio delle istituzioni. Penso all’esperienza governativa con Gianni De Michelis titolare del dicastero al Lavoro (correva l’anno 1983) o al ruolo di direttore dell’Irrsae, il più importante ente regionale di ricerca educativa. O ancora, all’azione sindacale che si è spesa, prevalentemente, in seno al mondo scolastico. O nell’ambito dell’Azienda sanitaria di Tropea. Nell’esercizio di queste prestigiose cariche, il senso della responsabilità ha sempre viaggiato in sincronia con la coerenza rispetto ai tuoi valori umani, culturali e politici.
E poi vengono in mente sequenze prevalentemente in bianco e nero. Quelle di un neonato che sta in braccio a donna Olga che lo tutela col suo protettivo abbraccio dalle bombe della Seconda Guerra Mondiale. Di un ragazzino che ogni giorno fa a piedi Zambrone, Zambrone marina (e ritorno) per raggiungere il treno che lo porta a Tropea per frequentare le scuole medie e il Liceo classico. Un giovane magrissimo che frequenta l’università degli studi di Messina e che ad una festa da ballo conosce Anna Maria Scrugli che sposerà in una splendida giornata di luglio e dalla quale avrà due figli. La costruzione della casa, così solare, ampia, bella; realizzata con grandi sacrifici. E poi i tanti anni d’impegno pubblico, all’inizio consigliato dall’amato padre, Corrado. I comizi che grazie ai contenuti profondi e ad un’oratoria incandescente sapeva fare vibrare le corde del cuore dei tanti presenti. All’orgoglio e alla responsabilità con cui ha indossato la fascia tricolore. Agli anni della sconfitta, vissuta nella solitudine ma con alta dignità. Ricordo che in una minuscola Cinquecento bianca portavi me e la tua amata Olga alla scuola di Zambrone (elementare e media) ogni mattina, dopo averci svegliato con il tuo coerente motivetto: “Svegliarsi, svegliarsi, sentirsi tutti uguali”. E poi la gioia per le telefonate del figlio che dalla lontana Bologna annunciava il superamento di qualche esame universitario. E una gioia ancora più grande alla nascita dei quattro nipoti. Penso al tuo amore paterno per Valentin, uno dei segni tangibili della tua bontà d’animo e del tuo altruismo. E al legame con la sorella Ninì e coi fratelli Massimo, Antonio e Carlo, così forte e così splendido improntato alla mutua dedizione. All’amore per la casa di via Pietro Mancini che riteneva fosse un dovere per la famiglia preservarla nel migliore dei modi. Alla sua passione per la musica, specie per quella Classica, per Mina e Joan Baez. Al ricordo degli amici scomparsi prematuramente: Mimmo Giannini, Micuccio il putigharu, il professore Natale Landro di Parghelia. All’amicizia riservata a quelle persone che consideravi una sorta di famiglia allargata: Anna Collia, Ciccio Grillo (classe 1938), Gerarda e Rocco Giannini, Guerino Piccolo. E proprio la figlia del professore Natale Landro, Fiorella, mi ha scritto per evidenziare un aspetto del suo carattere, la discrezione: “Sasà -ha scritto- dovevi cercarlo, nei suoi pensieri e silenzi”.
Non voglio parlare della malattia. Ricorderò per sempre il coraggio leonino e la dignità con cui hai lottato in questa impari battaglia. Senza mai rinunciare all’ironia e senza mai privarti delle cose belle della vita che sa offrire anche in condizioni così critiche. Per me, averti assistito in questi mesi, sarà sempre motivo di infinito orgoglio. Come il sostegno di mia madre, generoso, nobile e incondizionato. E un orgoglio pure grande, la scoperta di così tante persone che si sono dimostrate vicine alla mia famiglia nel momento della sofferenza. Davvero tantissime, impossibile menzionarle tutte. Grazie a tutti! Cito il professore Mimmo Caparra, una sorta di fratello maggiore, così premuroso e presente. Infinito l’amore di mia moglie Maria Cristina Mazzitelli e dei miei figli Anna e Salvatore. E poi il pensiero va a mio zio Massimo L’Andolina per l’amorevole, tenace e totalizzante assistenza verso il suo fratello maggiore. E a mia sorella Olga coi figli Patrizia e Corrado; il vostro dolore non sarà mai più forte del vostro amore. Agli zii Carlo, Antonio e Ninì per l’amorevole attenzione alla e per il contributo all’assistenza. Ai cugini Corrado, Matteo e Luca L’Andolina, Rosario, Corrado e Lorenza Macrì, per la loro costante compartecipazione alla sofferenza. Infine, un grazie alla Struttura ospedaliera di Tropea e, in modo particolare, al reparto di Medicina Interna e a quello di Oncologia; professionale, umano e generoso l’impegno della dottoressa Maria Grazia Arena. Una nota di merito anche all’Ifo di Roma (ex Regina Elena), Reparto di Ortopedia Oncologica.
Penso a tutte le volte che non sono riuscito a dirti fino in fondo: “Papà, ti voglio bene”. La mia maledetta timidezza, in buona parte ereditata da te! Ma è solo un attimo. Penso a tutto il tempo trascorso insieme e lo considero un privilegio assoluto che niente potrà mai cancellare. Quanta tenerezza, quanta profondità. A volte manifestata attraverso complessi e acuti ragionamenti. Altri, mediante il silenzio. Altri, attraverso gesti banali, una pizza, una partita della nostra amata Fiorentina vista insieme. E poi i dialoghi, quasi sempre incentrati sulla politica, sulla società, sul costume, sulla cultura; mai banali. Con te va via la memoria storica della nostra famiglia e, soprattutto, la memoria storica della comunità e un pezzo pregiato della sua storia. Memorabile, il tuo impegno per il Centro studi umanistici e scientifici Aramoni e per la sua rivista Cronache Aramonesi che si è tradotto in articoli raffinati e riflessioni penetranti nell’animo destinate ad echeggiare nel tempo. A me, mancheranno la tua fisicità, la tua mente, i tuoi ragionamenti così acuti e vitali, il tuo cuore, il tuo sorriso sornione, la tua voce: severa e affettuosa allo stesso tempo.
Mio padre è scomparso nello stesso giorno del compleanno della sua prima nipote, mia figlia Anna. Ed è deceduto nello stesso ospedale che ha visto nascere, quindici anni prima, alla medesima ora, la nipote. Una sorta di staffetta della vita. Particolare, il rapporto coi nipoti che si esplicitava in termini differenti. Con Patrizia il legame era speciale e toccava il cuore nella sua totale essenzialità. Con Corrado, schiettezza e istintiva simpatia. Di Salvatore amava la sua giovialità che lo ha reso tanto felice anche nel periodo della sofferenza. In Anna si rivedeva ragazzo, per il suo amore verso la cultura, per il rigore e il senso di responsabilità.
Quanti ricordi mi ritornano in mente… E uno in particolare. Ero poco più che un bambino. Rientrasti da una riunione politica molto tardi. E passasti dall’abitazione dei nonni (Olga e Corrado) per prendermi e riportarmi a casa. Mi prendesti in braccio e posizionandomi sull’auto salimmo verso casa. Giunti a destinazione, scendemmo dall’auto. Il cielo era stellato. Mi indicasti non so più quale costellazione. E mi spiegasti il concetto del tempo. Fu in quella circostanza che m’insegnasti che non bisogna avere paura della morte. Perché essa è un fattore fisico collegato, appunto, al tempo e al suo rapporto con lo spazio. Almeno, così recepii quella lezione (non sono mai stato un genio, specie in Fisica). E fu allora che mi dicesti che il più grande mistero, dunque, non è la morte; bensì la vita. Memento vivere mi dicesti. E allora avanti con la vita… Non solo perché finché vive qualcuno che ha amato, la persona scomparsa non muore. Ma soprattutto perché fra i misteri insondabili del tempo e dello spazio, mi piace pensare che la vita non conosce limiti. E in un modo o nell’altro continua e continuerà insieme…
In “Antologia di Spoon River” di Edgar Lee Masters c’è una composizione cui eri molto legato. E che rilette in pieno il tuo nobile e battagliero animo; s’intitola: “Herman Altman”. E recita così: Ho io seguito la verità dovunque mi guidasse,/ e affrontato il mondo intero in nome di una causa,/ e difeso il debole contro il potente?/ Se l’ho fatto vorrei essere ricordato fra gli uomini/ come fui conosciuto in vita fra la gente,/ e come fui odiato e amato in terra./ Perciò, non costruitemi monumenti,/ e non scolpitemi busti,/ che la realtà dell’anima mia non si disperda,/ pur se non diverrò un semidio,/ e i ladri e i bugiardi,/ che mi furono nemici e mi distrussero,/ e i figli dei ladri e dei bugiardi,/ non mi rivendichino affermando davanti al mio busto/ che mi furono accanto nei giorni della sconfitta./ Non fatemi monumenti,/ che la mia memoria non venga stravolta ai fini/ della menzogna e dell’oppressione./ Chi mi ha amato e i suoi figli non sia spossessato di me;/ voglio restare per sempre l’incontaminato possesso/ di coloro per i quali sono vissuto.
Hai difeso la verità in ogni circostanza e le ragioni degli umili. Io ti sono stato vicino nel giorno della sconfitta e con me i tuoi familiari, alcuni amici e compagni. Nessuna menzogna sfiorerà mai la tua persona. Tu sarai per sempre l’immacolato possesso per i quali sei vissuto e che ti hanno amato.
Tuo figlio.
Zambrone, 5 aprile 2018
Corrado Antonio L’Andolina
(Sindaco del Comune di Zambrone)