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Anno 2008
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Serve all'Italia questo federalismo?
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Editoriale
Serve all'Italia questo federalismo?
Ogni lacrimone sembra la cascata del Niagara. Autorevolissimi rappresentanti istituzionali, politici di lungo e cortissimo corso, editorialisti puntuali e super accigliati, così hanno accolto il “porcellum” due, ovvero la proposta federalista di Calderoriana ispirazione. Costoro profetizzano scenari apocalittici: “E’ in discussione la tenuta dell’unità nazionale”; “non ci saranno nemmeno i soldi per pagare mezza maestra a classe”; “se qualcuno si farà la bua, dovrà andare, per la medicazione, all’estero e cioé in Piemonte, Veneto o Lombardia”; “milioni di posti di lavoro, anche nel pubblico impiego sono seriamente in pericolo”. Panzane! L’argomento, tuttavia, scalda i cuori degli “esperti”, ma uomini e donne del Sud, ammantati da una rassegnazione ormai endemica, confidano ciecamente nell’intervento risolutore e misericordioso di entità ancora indefinite. In tutto questo frastuono mediatico, da più parti, in loco, si è deciso (inconsapevolmente?) di mantenere un profilo basso, anzi bassissimo. Eppure qualche domanda di sostanza non si può proprio eludere. Innanzi tutto: serve all’Italia questo federalismo? Forse non è superfluo sottolineare alcuni dati. Dalla nefanda epoca di “Tangentopoli” ad oggi, il Paese è in pieno declino economico. Rispetto ad Eurolandia, in quindici anni il pil ha perso quindici punti. Nei confronti degli Usa, ben trentacinque. Il vecchio Carletto Marx in parte aveva ragione, l’economia è struttura portante della società. Il federalismo, allora, si traduce in un affare di natura economica. Usare la leva fiscale demandandola ai localismi, è scelta saggia? Il federalismo può davvero ridurre il gap Nord-Sud? Il localismo predicato dalla Lega e già fatto parzialmente proprio dal centrosinistra, con la famigerata riforma del titolo quinto della Costituzione, offre alcune risposte. Successivamente all’intervento legislativo, i costi della burocrazia sono aumentati vertiginosamente. Il contenzioso tra centro e periferia, idem. L’Italia è davvero un paese singolare. Più un’esperienza è fallimentare… maggiori saranno gli investimenti su di essa. E’ curioso, inoltre, che si discuta di federalismo, senza nemmeno porsi l’interrogativo di come abbattere il pachiderma politico-burocratico che fagocita rilevanti risorse pubbliche. Quando si parla di federalismo e poi si pensa agli 8100 comuni e alle 107 province, viene il mente la celebre battuta di Totò: “E poi dice che uno si butta a destra”. Poi, se si discute di federalismo (praticamente un’ossessione) e si pensa alle 330 comunità montane, ritorna in mente, ancora, Totò: “E poi dice che uno si butta a sinistra”. Infine, se si riflette sui 63 bacini di consorzi che servono 2000 comuni, è sempre Totò a venire in soccorso: “E poi dice che uno si butta al centro”. Un’ultima considerazione. Il federalismo, storicamente, è un processo politico-istituzionale unificante. L’esperienza degli Usa è emblematica. Il legislatore italiano, ne è stato informato ? Sembrerebbe di no. Why? Che si pronuncia, in lingua italica, guarda un po’, “guai”. E i guai nel Belpaese, generano consociativismo e conservatorismo. E allora, il confine tra scelta rivoluzionaria e mantenimento dello status quo diventa labile. Ritorna in mente la celebre battuta gattopardesca: “Tutto cambia, perché nulla cambi”.
Corrado L’Andolina
Pubblicato su Calabria Ora il 16 settembre 2008
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