l’intervento
TRE ANNI SENZA ALDO, UNA PIAGA APERTA DENTRO UN’INTERA COMUNITÀ
n una fredda giornata di tre anni fa, Aldo Ferraro, a soli trentadue anni, a causa di un incidente sul lavoro perdeva la vita. Una tragedia immane, per la famiglia, i suoi amici e per la comunità. In questo breve arco temporale ci sono state tante iniziative legate alla sua memoria. L’associazione “Amici di Aldo” è risultata particolarmente attiva, grazie al generoso contributo di Mario Ambrosi, suo presidente. Il tempo impone un ritorno a una quotidianità apparentemente ordinaria; ma non lenisce il dolore. L’espressione composta ma affranta è impressa sul volto della madre, Lisa Russo. Un misto di opprimente rassegnazione e senso di impotenza è l’atteggiamento che Peppino, il padre di Aldo, riserva alla vita. Gli occhi offuscati dalla struggente nostalgia sono quelli di Francesco, suo fratello. Il silenzio, come impossibilità di comunicare il proprio infinito strazio, scandisce buona parte della giornata dell’altro fratello, Carlo. Una dolcezza che in ogni secondo della quotidianità sembra dire «ti amo Aldo», è l’espressione della moglie Gabriella. E poi, il volto di Lorenzo, il figlioletto di poco più di tre anni, sul quale si riflette così tanto il candore del volto di papà. Intorno, una comunità attonita che non dimentica e ricorda nell’intangibilità della sua sfera dei ricordi o nell’intimità delle mura domestiche la figura di un amico. Aldo Ferraro, infatti, è stato amato e apprezzato in vita per la sua cordialità, laboriosità, correttezza comportamentale e spiccato senso dell’amicizia. Dopo tre anni, la sensazione è che su un giovane deceduto così prematuramente ci sia ancora tanto da dire e da scrivere. Perché la vita di un uomo nasconde tesori che affiorano lentamente, quasi giorno dopo giorno. Questi tesori sono rappresentati da piccoli gesti di umana solidarietà e di concreto aiuto verso chi soffre. In questo, Aldo, sapeva essere davvero unico. La sua capacità di dialogo, l’autoironia, il sorriso perennemente riservato a tutti costituivano il suo stesso modo di essere. Aldo Ferraro è uno dei sedici caduti sul lavoro della comunità zambronese accertati. In ordine temporale l’ultimo. Gli altri, sono stati: Taddeo Giannini (1932), Vincenzo Giannini (1937), Rosina Crai (1941), Francescoantonio Iannello (1943), Antonio Varrà (1950), Anna Maria Morello (1951), Antonino Carrozzo (1963), Natale Vincenzo Conca (1979), Francesco Salvatore Ferraro (1980), Saverio Cortese (1981), Fortunato Grillo (1984), Nicola Piccolo fu Domenico (1994), Nicola Piccolo di Guerino (1985), Antonio Pugliese (1998), Franesco Grillo (2001). Loro malgrado, emblema di una terra generosa ma sfortunata. In una “morte bianca” ci sono responsabilità giuridiche il cui accertamento compete alla magistratura. Poi, però, ci sono anche responsabilità politiche. Le responsabilità di chi spesso pensa alla sicurezza dei cantieri in termini puramente burocratici. Dietro ogni forza-lavoro c’è un uomo o una donna. E, quindi, un universo di emozioni, sentimenti, affetti. Una legislazione appropriata e un’azione di tutela coerente della sicurezza sui luoghi di lavoro non potrà mai prescindere da ciò. Alla generazione che vive la contemporaneità manca quel desiderio laicamente sacro di cambiare il mondo. Spesso si accetta la realtà circostante in maniera passiva; quasi rassegnati a un destino infausto che ha condannato la Calabria all’arretratezza e al sottosviluppo. Eppure, per trasformare in meglio l’universo sociale, ambientale e umano circostante, basterebbe poco. Sarebbe sufficiente credere negli affetti, rispettare l’amicizia, adoperarsi per un’affermazione dell’etica dei doveri, porsi verso il lavoro con un atteggiamento di serietà. In sintesi, il testamento morale di tutti i caduti sul lavoro di Zambrone.
Corrado L’Andolina
Pubblicato su Calabria Ora l’8 febbraio 2013