ATTUALITA’ DEL SONU A BALLU TRA REMINISCENZE E PROSPETTIVE
Durante il Ventennio fascista nel lessico comune vengono introdotte parole del tipo “viddaneddha” o “tarantella”. Prima di allora, la musica popolare era denominata: sonu, sonu a ballu, soni a ballu, sonati a ballu. La creazione di vari gruppi folkloristici, anche in Calabria, introduceva nell’esecuzione delle sonate popolari elementi coreografici e spettacolari del tutto nuovi rispetto alla tradizione. La destrutturazione del linguaggio, precedeva, comunque, quella culturale. Si afferma, in questo contesto, l’idea fuorviante di una danza legata a un Mezzogiorno canterino, allegro e spensierato.
La scorsa estate, durante una serata dedicata alla musica etnica un folto raggruppamento di giovani dopo avere ingurgitato parecchi litri di vino, ha fatto ampio uso di hascisc. Fra un suono di pipita e zampogna e uno di tamburello e organetto, il desiderio impellente di consumare sostanze stupefacenti ha preso il sopravvento. La circostanza induce, inevitabilmente, a qualche riflessione. Cosa rappresenta, innanzi tutto, la musica etnica oggi? L’occasione per un concerto in cui “sballarsi”? Probabilmente anche, ma non solo. Essa è talvolta usata come un pretesto per manifestazioni canore e coreutiche dal forte impatto comunicativo e aggregativo. In realtà, la musica etnica, strictu sensu, non esiste più e l’indagine del testo, specie quella coreutica ha valenza prevalentemente storica. Le varie rassegne musicali sorte sotto l’influsso turistico hanno indotto la nascita di quelle che Ettore Castagna ha recentemente definito: “etnicità ricostruite” . D’altronde, per sua stessa natura U sonu difficilmente si presta ad essere trasferito sul palco senza mutarne l’essenza. La prestazione a fini turistici imbocca, quasi sempre, la via a senso unico della commercializzazione. Il “prodotto” musica-etnica più o meno lontano dalla sua autenticità, è conservato, unicamente, per essere proposto ai turisti. In tal senso, sarebbe auspicabile che questi eventi, stimolassero qualche riflessione e ricerca sulla cultura di appartenenza. Spesso, invece, nel corso di tali manifestazioni, si attinge a piene mani alla retorica dei luoghi comuni su: “la riscoperta delle tradizioni musicali”, “la valorizzazione delle radici popolari”, “l’esaltazione dell’identità culturale” e così via. L’eccessiva amplificazione, l’accelerazione dei ritmi, l’adeguamento del suono alle esigenze del ballo, la parziale mutazione genetica degli strumenti, l’eterogeneità dei “consumatori”, rendono la musica etnica, un labile ricordo oppure, più semplicemente, un pretesto per divertirsi e divorare l’ennesimo prodotto creato dai tempi; una tendenza modaiola molto in voga tra i giovani. Eppure, in alcuni di questi festivals, le timbriche di una zampogna a paru, anziché di una pipita o di una lira o di un tamburello, rievocano, sia pure fugacemente o, addirittura, involontariamente, note e melodie, sepolte sotto il peso massiccio della secolarizzazione. Dalla storia sembrano materializzarsi, quasi improvvisamente e per brevi attimi, soavi reminiscenze. Salvaguardare queste reminiscenze è un’opportunità offerta dalla globalizzazione; ma anche l’ultima frontiera di un mondo seppellito da un progressismo senz’anima e da un nuovismo privo di consistenza antropologica. La musica etnica del Sud genera, ancora oggi, produzioni artistiche originali e di primo livello. E’ il caso, fra i tanti, di Eugenio Bennato o di Lino Cannavacciuolo. Il sound “moderno” rievoca antiche melodie. Alla musica popolare, però, è toccata la stessa sorte di quella classica o del jazz. Essa é stata cancellata dalla “modernità”; ne sopravvivono ricordi, frammenti, tracce, impronte, echi. Ardua e affascinante, pertanto, risulta la sfida di non smarrire ciò che rimane di un tesoro culturale ultra bimillenario e immenso.
La crisi del pensiero ideologico ha cancellato ogni immaginazione rivoluzionaria del futuro; ma ha anche eliminato qualsiasi nostalgia verso il passato. Il presente assume, così, un valore fondamentale. E’ compito degli uomini scorgerne le profondità e liberarne le energie positive. Le “reminiscenze” de U sonu a ballu, cariche di tensioni laiche e di contenuti cattolici, faranno parte di questo nuovo progetto?