Il sud e l’unità d’Italia
BUGIE DEI VINCITORI E VERITA’ DEI VINTI
Siamo appena all’inizio. E già la retorica, appena ammorbidita dal flebile tentativo di attualizzare gli eventi calandoli nelle problematiche odierne, dilaga. Si è incominciato dal nord. Ovviamente. E’ il Nord che ha voluto l’unità. Il sud dopo. Può aspettare. A Cosenza si preparerà qualcosa per rievocare il sacrificio dei fratelli Bandiera. Il presidente della repubblica ha esaltato a Reggio Emilia la nascita del tricolore e distribuito severi richiami agli inosservanti od inossequienti verso il vessillo nazionale. Tutto secondo programma. Discorsi alati e sventolio di bandiere. Tutto detto e ridetto. Meno la cosa più evidente e storicamente certa. Che anche la nascita del tricolore fu un evento organizzato da alcuni gruppi di notabili del nord. Niente popolo, né del nord né del sud. Dell’idea unitaria nemmeno l’ombra, se si esclude l’aspirazione della delegazione lombarda (che era là proprio per questo) di associare alla Lombardia l’Emilia, la Romagna e i piccoli ducati ad un’idea di Repubblica del nord. Sì, certo. Dopo. Millenni dopo, rispetto alla realtà di fine 700, l’articolo 12 della Costituzione ha accolto il tricolore come emblema identitario della nazione, ma ancora una volta con un’operazione che lasciava sullo sfondo le vicende del sud, la sua storia, le delusioni inferte, le sofferenze e le ingiustizie passate e future. C’è una storia, nella storia del Paese, che è solo del sud. Che per anni è stata nascosta, mistificata e, in gran parte cancellata. Che si dipana come un filo rosso sangue dal 1861 ai nostri giorni. Essa passa attraverso la guerra civile, che per i testi scolastici viene liquidata come repressione del brigantaggio, ma che costò più vittime di quante ne mieterono le guerre di indipendenza assommate manifestando, in non pochi episodi, una ferocia senza limiti. Prosegue con lo smantellamento delle strutture e infrastrutture industriali (a cominciare da quelle operative nelle nostre Serre), agricole e finanziarie del sud allo scopo, in apparenza, di risanare il bilancio piemontese, in realtà con un’azione implacabile di espropriazione, spoliazione e devastazione. Raggiunge il massimo con l’avvio di uno sradicamento culturale, morale e antropologico che indignò persino qualcuno dei protagonisti (D’Azeglio, lo stesso Garibaldi) e con l’imposizione di leggi, linguaggi e organizzazione del vivere quotidiano estranei e lontanissimi dalla gente del sud. Fu come se si volesse vestire un popolo con i panni di un altro popolo (Vincenzo Cuoco). Diciamola con franchezza: la gente del sud con l’unità ci rimise ma l’avrebbe comunque accettata in cambio di un trattamento che non peggiorasse la sua esistenza. E non è che siano mancati analisti e studiosi, italiani e stranieri, che non abbiano indicato vie nuove, proposto e suggerito. Tutti partivano dalla considerazione che il sud era la gente, le masse contadine, analfabete e arretrate, scalze e povere e non i galantuomini trasformisti e arroganti, che divennero ancora più ricchi acquisendo i patrimoni ecclesiali. La voce dei vinti si levò, in modo conforme ai mezzi ed alle possibilità del tempo. Carlo Alianello, grande scrittore del sud (pressoché dimenticato) fa dire ad uno dei suoi personaggi : mi sapete dire perché le verità dei vinti sono bugie e le bugie dei vincitori sono verità? Quel che vorremmo da queste celebrazioni è, appunto, un po’ più di verità. Ma dovremmo essere proprio noi del sud, calabresi e vibonesi a pretenderla. Con le nostre scuole, i nostri Comuni, le nostre province. A loro chiediamo se intendano adagiarsi nel conformismo della retorica o cogliere un’occasione per far avanzare, nell’Italia unita, le ragioni del Sud.
Salvatore L’Andolina
Pubblicato su Calabria Ora il 18 gennaio 2011, p. 33