Nasside - poetessa di Locri

O straniero, se tu navighi verso Mitilene lieta di canti per cogliere il fiore delle grazie di Saffo, dì che io fui amica delle muse, che nacqui a Locri e sai che il mio nome è Nosside. Va".
Le scarne note biografiche su Nosside, la più grande poetessa della Magna Grecia, vissuta a Locri tra il IV ed il II secolo a.C. sono contenute proprio nell'ultimo dei dodici epigrammi di questa autrice, giunti a noi nell'Antologia Palatina ed ancora prima raccolte da Meleagro nella sua Corona.
I dodici epigrammi, unici frammenti di una produzione poetica presumibilmente assai vasta se l'autrice si vanta di essere: "L'unica poetessa d'Occidente, come Saffo lo era stata di Oriente", bastano a testimoniare la grandezza di Nosside e, di riflesso, la straordinaria importanza, per la civiltà occidentale, della colonia magnogreca di Locri.
Fu Locri Epizefiri la prima civiltà d'Occidente ad avere un codice di leggi scritte, la cosidetta legislazione di Zaleuco, ma fu anche notevole centro di attività culturali ed artistiche in cui le donne ebbero un grande ruolo, come attesterebbero le tracce di matriarcato e di prostituzione sacra nei suoi ordinamenti. In questo straordinario clima culturale, fiorirono in Locri, già nel V secolo a.C., fenomeni letterari e poetici, come attesta Pindaro nella II Pitica, che assegna alla colonia locrese la produzione di "Canti della Vergine" (Partheneia Mele). Di canti d'amore locresi riferisce anche Clearco che, secondo lo studioso Marcello Gigante, "Li associa ai canti di Saffo o di Anacreonte".
La produzione di Nosside s'innesta in questa tradizione ma, al contempo, se ne distacca sia per l'impostazione filosofica dei suoi versi, sia per la tecnica espressiva.
Emerge, evidentemente, dalla lettura degli epigrammi superstiti, l'intenzione di Nosside di emulare Saffo, un inno alla vita e all'amore. Se Saffo aveva affermato: "Alcuni dicono che la cosa più bella sulla terra sia un esercito di cavalieri, alti di fanti, altri di navi, ma io dico che la cosa più bella è ciò di cui uno s'innamora", Nosside, in una poetica vigorosa, rincara: "Nulla è più soave dell'amore, ma ogni altra delizia è seconda; anche il miele sputo dalla bocca". Questo dice Nosside: "Chi non è amato da Cipride non sa quali rose siano quei fiori". Le rose sono i fiori di Afrodite ed il confronto con gli altri valori della vita è espresso, in modo deciso e certamente efficace, dalla supremazia dell'amore nei confronti dello stesso miele che era considerato: "cibo degli dei".
Negli altri epigrammi e nelle dediche in essi contenute, si rivelano altri aspetti della cultura locrese e del ruolo straordinario che le donne ebbero in quella colonia: il matriarcato, il culto di Afrodite e quello di Era, la prostituzione sacra, l'uso di offrire alla Dea dei pinakes, le tavolette votive in uso a